cityli(f)e

Introduzione Guerra alle condizioni tedesche! Senza dubbio! Esse stanno sotto il livello della storia, sono al disotto di ogni critica, ma rimangono un oggetto della critica, così come il delinquente che sta sotto il livello dell’umanità rimane un oggetto del boia. In lotta con esse, la critica non è una passione del cervello, essa è il cervello della passione. Essa non è […]

Introduzione

Guerra alle condizioni tedesche! Senza dubbio! Esse stanno sotto il livello della storiasono al disotto di ogni criticama rimangono un oggetto della critica, così come il delinquente che sta sotto il livello dell’umanità rimane un oggetto del boiaIn lotta con esse, la critica non è una passione del cervello, essa è il cervello della passione. Essa non è un coltello anatomico, è un’arme. Il suo oggetto è il suo nemicoche essa non vuole confutare bensì annientareInfatti, lo spirito di quelle condizioni è confutato. In sé e per sé non sono oggetti memorabilima spregevoli quanto spregiate esistenzePer sé, la critica non ha bisogno di venire in chiaro nei confronti di questo oggetto, poiché è già in chiaro con esso. Essa non si pone più come fine a se stessama ormai soltanto come mezzo. Il suo pathos essenziale è l’indignazioneil suo compito essenziale è la denuncia

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CityLife viene scelto come oggetto di questa tesi di laurea per la sua emblematicità: uno, forse il più conosciuto, il più chiacchierato, sicuramente uno dei più interessanti in quanto a procedura e modalità, tra gli interventi di recupero a Milano sulle aree dismesse. Aree che la città post-fordista rende libere delocalizzando l’industria in paesi come l’Oriente o anche semplicemente nelle campagne intorno alla città. Aree spesso di grande pregio, ormai centrali rispetto allo sviluppo urbano della città, impegnate da strumenti urbanistici concepiti ad hoc in seguito all’abbandono del P.R.G., al cui interno prendono forma i desideri degli investitori privati che utilizzano la città come luogo di speculazione e profitto.

CityLife viene dunque assunto qui come esempio che riassume e rappresenta un metodo di gestione della città, oltre a esserne in certi casi addirittura anticipatore. L’analisi di questo intervento ha portato in luce una dimostrazione lampante di come – nel vero senso della parola – la città sia ormai in vendita, per chi può permettersi di comprarla, e come – ancora una volta – non vi sia alcuna struttura di contrasto rilevante, né da parte delle amministrazioni pubbliche, responsabili – in quanto conniventi – del disastro che sta coinvolgendo le nostre città, né da parte del mondo intellettuale che non riesce ad andare oltre all’indignazione. La connivenza non manca di svelarsi inoltre nella stampa più diffusa, spesso coinvolta a doppio filo nelle grandi operazioni sul territorio, così come nei curriculum di certi critici che si rendono disponibili ad avvalorare i più assurdi progetti in cambio di un – probabilmente consistente – risarcimento monetario.

Necessario invece citare e ringraziare i vari comitati di protesta – gli unici ad aver davvero costituito un fronte di protesta – per l’immenso lavoro che hanno svolto per lungo tempo con serietà e impegno, producendo materiale prezioso e disponibile nella purtroppo vana speranza di un miglioramento.

Il principale fattore che ha mosso il mio interesse verso l’approfondimento e l’analisi di questi processi si radica nella preoccupazione per l’assenza di una proposta alternativa, basata sulla conoscenza dei corretti processi di sviluppo della città di Milano, ma al tempo stesso aderente alla realtà, e quindi capace di indicidervi; la necessità di possedere gli strumenti necessari per comprendere un progetto – o anche un non-progetto, se si preferisce – della contemporaneità. Per quanto possa essere sgradevole. Questo, conniventi o dissidenti, è il momento che stiamo vivendo, questo è ciò che sta succedendo intorno a noi, in questo modo le nostre città stanno cambiando. Non possiamo restare a guardare silenziosamente mentre ogni idea di città intesa come luogo sociale, spazio di relazioni, come luogo comune viene distrutta. Ma per farlo, per poter essere davvero portatori di una fondata controproposta, in un sistema dominato dal capitalismo finanziario a uno stadio ormai avanzato, non si può prescindere dalla comprensione dei processi reali. Il che non significa la loro rassegnata accettazione, bensì l’inizio di un processo di disvelamento e quindi di superamento.

La ricerca intorno alla vicenda CityLife si è svolta nell’arco di due anni di analisi, approfondimenti e interviste, due anni costellato di innumerevoli porte chiuse, silenzi e inquietudini. Il lavoro ha preso le mosse da una prima raccolta di materiale, articoli di giornale, pratiche comunali, consultazione di siti internet; poi man mano la matassa si è sciolta e le parti hanno cominciato ad assumere senso le une con le altre. La difficoltà nella raccolta dei disegni, dei documenti, delle testimonianze, ha molto rallentato lo sviluppo della ricerca. Non è stato insolito trovarmi a parlare con persone che avevano il timore di dire o di dare qualcosa di troppo. Nemmeno è stato inconsueto attendere invano risposte a mail o essere rimandati agli avvocati di CityLife ai quali dover sottoporre inascoltate richieste. Questo però, nel bene e nel male, suggerisce un problema, una questione: cosa non ci viene raccontato? Perché il timore di essere chiari, di spiegare? Cosa c’è da nascondere?

Da qui il titolo della tesi: CityLi(f)e (in inglese lie: menzogna) racconta di queste vere e proprie bugie, delle omissioni, dei trucchi pubblicitari, dei racconti alterati. CityLife è stato promosso come un progetto di grande rinnovamento urbano, un luogo di relazioni, uno spazio a disposizione dei cittadini: non solo difficilmente potrà essere tutto questo – anche nell’ipotesi in cui venga realizzato nella sua completezza -, ma probabilmente non riuscirà nemmeno a rappresentare un luogo di “lusso”, se per lusso si vuole ancora intendere la raffinatezza, il pregio, l’armonia tra progetto e qualità della realizzazione.

CityLife sarà invece certamente d’ “elitè”: e questo è il vero problema, a mio avviso, più di quanto lo possano essere l’insensatezza della pianificazione e l’inadeguatezza dei suoi edifici. La vera questione è la strada che CityLife segna, insieme ad altri interventi milanesi, verso la settorializzazione sociale che altro non può fare se non continuare ad alimentare l’ormai avanzato processo di emarginazione delle classi più deboli nell’idea di una città esclusiva – o per meglio dire escludente. CityLife riporta senza sforzo l’immaginario alle numerose e ormai diffuse gated communities, tipiche nelle megalopoli extra-europee, dove una certa categoria di cittadini decide di rinchiudersi per proteggersi dalla città reale.È proprio in queste situazioni che viene portato all’estremo il concetto di esclusività, di chiusura, di inaccessibilità: guardiani 24 ore su 24, telecamere, muri perimetrali e divieti d’accesso. CityLife non sfugge a questa logica: la recinzione dell’area ancora non è prevista – o quantomeno non è resa nota -, ma per adesso siamo “solo” alla terza variante… tutto è ancora da vedere.

Indagare intorno a CityLife è stata un’esperienza che mi ha aiutato a costruire – o anche solo a cominciare a costruire – una coscienza sulla realtà delle cose, ad assumere una maggiore consapevolezza sul momento storico che stiamo vivendo, con la certezza che da qui si può cominciare a progettareun futuro migliore. L’elaborazione di questa tesi in ultima analisi si configura non come una mera constatazione dei fatti bensì piuttosto come un atto di presenza, qui e ora, come testimonianza attiva che persegue un obiettivo irrinunciabile.

[1] Karl Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, in «Annali franco-tedeschi», febbraio 1844.

Tesi di Laurea Magistrale
Indagine analitica e di denuncia sul progetto CityLife a Milano, intervento di recupero dell’ex-area Fiera

Relatore: prof. Marco Biraghi
Discussa il 31 marzo 2011
Facoltà di Architettura Civile
Politecnico di Milano

Disponibile alla consultazione a questo link.